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Il fantasma dell'Opera Copertina flessibile – 15 dicembre 1999

4,6 4,6 su 5 stelle 33 voti

Erik, angelo della musica, artista sublime ma respinto da tutti per la sua ripugnante bruttezza, oscuro signore dei sottosuoli del teatro, trascina la sua vittima, la giovane cantante Christine, nella sua dimora sotterranea per imporle, con un orribile ricatto, la sua diversità e sfidare con la sua delirante grandezza l'umanità che lo ha emarginato. Riproduzione a richiesta dell'edizione: Tea, 1994 (Teadue 252) ISBN 88-7819-609-6
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Dettagli prodotto

  • Editore ‏ : ‎ Lampi di Stampa (15 dicembre 1999)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 272 pagine
  • ISBN-10 ‏ : ‎ 8848800645
  • ISBN-13 ‏ : ‎ 978-8848800648
  • Peso articolo ‏ : ‎ 300 g
  • Dimensioni ‏ : ‎ 20.5 x 3.1 x 14 cm
  • Recensioni dei clienti:
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Recensioni clienti

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33 valutazioni globali

Recensioni migliori da Italia

Recensito in Italia il 9 maggio 2020
Non avevo mai lellto questo libro ma è un capolavoro
Recensito in Italia il 1 marzo 2020
Chi non lo conosce? Bellissimo
Recensito in Italia il 25 luglio 2019
Buon libro arrivato prima dei tempi previsti
Recensito in Italia il 29 maggio 2013
Leroux era un gran furbone, e benchè poi sia morto in miseria questo libro rimane nella storia.
Ma siamo sicuri che sia il libro e non il musical a entrare nella storia?
Si, perché questo libro è farcito di errori e grossolanità; (basti pensare al lampadario da 200 tonnellate), incongruenze storiche ed errori di trama.
Della storia d'amore che nel musical entra dirompente, qui non vi è traccia, ma vi è solo cattiveria gratuita verso il Fantasma, ritratto come un assassino, un sadico ed un perverso.
Io vi consiglio un altro libro per leggerlo appieno: Il fantasma di Manhattan di Frederick Forsyth, nella cui prefazione c'è un indagine accurata su questo libro, e in cui si spiega la genesi di un capolavoro (il Musical, non il libro).

"Quella che è ormai diventata la leggenda del fantasma dell'Opera nacque nell'anno 1910 dalla mente di un autore francese oggi quasi completamente dimenticato.
Come Bram Stoker con Dracula, Mary Shelley con Frankenstein e Victor Hugo con Quasimodo, il gobbo di Notre-Dame, Gaston Leroux si era imbattuto in una confusa leggenda e vi aveva scorto il seme di una vera storia tragica. Da lì era partito per ordire la sua trama. Ma le similitudini non vanno oltre.
I tre romanzi citati divennero immediatamente successi di pubblico e le storie che raccontano sono a tutt'oggi note a ogni lettore, a ogni spettatore cinematografico e a milioni di altre persone. Attorno a Dracula e a Frankenstein sono state costruite industrie vere e proprie, che hanno prodotto decine se non centinaia di ristampe e versioni su pellicola. Leroux, ahimè, non era certo Victor Hugo. Quando comparve, nel 1911, il suo sottile volumetto causò una breve eco in Francia e riuscì persino a essere pubblicato a puntate sui giornali, ma scomparve presto nell'oblio. Fu soltanto un caso, undici anni più tardi e cinque prima della morte dell'autore, a riportare la sua storia in primo piano e farle imboccare la strada dell'immortalità.
Il caso prese la forma di un piccolo e gioviale ebreo tedesco di nome Cari Laemmle, il quale era emigrato in America da ragazzo e nel 1922 era arrivato alla presidenza della Universal Pictures di Hollywood. In quell'anno, Laemmle andò in vacanza a Parigi. Leroux nel frattempo aveva cominciato a bazzicare la ben più modesta industria cinematografica francese, e fu proprio grazie a questo collegamento che i due si conobbero.
Nel corso di una conversazione per altri versi superficiale, il produttore americano confessò a Leroux di essere rimasto impressionato dalla vastità dell'Opera di Parigi, che rimane a tutt'oggi il più grande teatro lirico del mondo. Leroux rispose regalandogli una copia del suo già allora trascurato libro del 1911. Il presidente della Universal Pictures lo lesse in una sola notte.
Il caso volle che in quel momento Cari Laemmle avesse in mente tanto un'opportunità quanto un problema. L'opportunità era la recente scoperta di uno strano attore di nome Lon Chaney, il quale possedeva un volto così mobile da saper assumere qualsiasi forma ed espressione. Come veicolo per Chaney, la Universal si era impegnata a realizzare la prima versione cinematografica di Notre-Dame de Paris di Hugo, a quei tempi già un classico. Chaney avrebbe interpretato il deforme e orrendo Quasimodo. Il set era già in via di costruzione a Hollywood, un'enorme replica in legno e gesso della Parigi medioevale con Notre-Dame in primo piano.
Il problema di Laemmle era il successivo progetto da offrire a Chaney prima che questi gli venisse sottratto da uno studio rivale. All'alba di quel giorno, il produttore credette di averlo trovato: dopo il ruolo del gobbo, Chaney avrebbe interpretato quello dell'altrettanto sfigurato e repellente, ma profondamente tragico, fantasma dell'Opera (di Parigi).
Come tutti i buoni uomini di spettacolo, Laemmle sapeva che uno dei modi per attirare il pubblico nei cinema era spaventarlo a morte. Il fantasma, si disse, dovrebbe riuscirci; e aveva ragione.
Acquistò i diritti, tornò a Hollywood e ordinò la costruzione di un altro set, che riproducesse l'Opéra di Parigi. Poiché avrebbe dovuto reggere un cast di centinaia di persone, la replica dell'Opera fu il primo set a impiegare travi di acciaio conficcate nel cemento. Per questa ragione non è stato mai smantellato; si trova ancora oggi nel Teatro 28 degli Universal Studios, e nel corso degli anni è stato riutilizzato in numerose occasioni.
A tempo debito, Lon Chaney interpretò prima IL gobbo di Notre-Dame, quindi IL fantasma dell'Opera. Ebbero entrambi un enorme successo, e lo consegnarono all'immortalità per quel genere di ruolo. Ma fu il fantasma a terrorizzare il pubblico, al punto che le signore strillavano e svenivano e nei foyer dei cinematografi, con una magistrale mossa pubblicitaria, i sali venivano distribuiti gratuitamente.
Fu la pellicola, più che il dimenticato libro di Leroux, a colpire l'immaginazione del grande pubblico e a far nascere la leggenda del fantasma. Due anni dopo la sua prima, la Warner Bros. produsse Il cantante di jazz, il primo film sonoro, mettendo fine all'era del muto. Da allora furono numerose le riproposizioni della storia del fantasma dell'Opera, ma nella maggioranza dei casi la vicenda era talmente alterata da essere a malapena riconoscibile, e il loro impatto fu scarso. Nel 1943 la Universal produsse un remake con Claude Rains nel ruolo del fantasma, e nel 1962 la Hammer Films di Londra, specializzata in film dell'orrore, ci riprovò con Herbert Lom nel ruolo del protagonista. Una versione televisiva del 1983 con Maximilian Shell seguì quella rock del 1974, firmata da Brian De Palma. Finché, nel 1984, un giovane regista britannico mise in scena uno spettacolo vivace ma alquanto bizzarro in un piccolo teatro di East London: una versione musicale. Fra coloro che lesserò le recensioni e andarono a vederlo vi era Andrew Lloyd Webber. Senza saperlo, la vecchia storia di Monsieur Leroux aveva appena raggiunto un'altra svolta decisiva nella sua carriera.
Al momento, in realtà, Lloyd Webber stava lavorando a qualcosa di diverso - quel "qualcosa" che sarebbe poi diventato Aspects of Loue. Ma continuò a pensare alla storia del fantasma, e nove mesi dopo, in una libreria dell'usato di New York, trovò per caso una traduzione inglese del romanzo originale di Leroux.
Come molte altre percezioni di profonda acutezza, col senno di poi il giudizio di Lloyd Webber sembra semplice; in realtà era destinato a mutare il modo di porsi del mondo intero nei confronti di questa bistrattata leggenda. Egli capì che alla base non si trattava affatto di una vicenda orrorifica, ne di un racconto basato sull'odio e sulla crudeltà, bensì della storia profondamente tragica di un amore ossessivo ma non corrisposto fra un personaggio disperatamente sfigurato, che si è imposto l'esilio dal resto del mondo, e una giovane e bella cantante lirica che finisce per preferire un attraente corteggiatore aristocratico.
E così, Andrew Lloyd Webber riprese la vicenda originaria, eliminò le inutili illogicità e crudeltà inserite da Leroux e distillò la vera essenza della tragedia. Su queste fondamenta costruì quello che, nel corso dei dodici anni dalla sera della prima, si è rivelato il musical più popolare e di successo di tutti i tempi. Oltre dieci milioni di persone hanno visto Il fantasma dell'Opera, e se al mondo esiste una percezione globale di questa vicenda, oggi deriva quasi interamente dalla versione di Lloyd Webber.
Ma per capire il vero significato della storia del Fantasma vale la pena di dedicare qualche istante all'esame di tre ingredienti originali dai quali essa è nata. Uno di essi è per forza di cose la stessa Opera di Parigi, un edificio ancora oggi così stupefacente che il fantasma non
sarebbe potuto esistere in nessun altro teatro al mondo. Il secondo elemento è lo stesso Leroux, e il terzo è quell'esile volumetto da lui scritto nel 1911.
L'Opera di Parigi è stata concepita, come molte altre grandi imprese umane, per caso. Una sera del gennaio 1858 Napoleone III, imperatore di Francia, si recò con l'imperatrice al teatro d'opera, a quei tempi situato in un vecchio edificio che si affacciava su una stretta stradina, Rue le Peletier. Soltanto dieci anni erano trascorsi da quando un'ondata rivoluzionaria aveva travolto l'Europa; i tempi erano ancora inquieti, e un antimonarchico italiano di nome Felice Orsini scelse proprio quella sera per lanciare tre bombe contro la carrozza reale.
Esplosero tutte e tre, causando più di centocinquanta fra morti e feriti. L'imperatore e l'imperatrice, protetti dalla pesante carrozza, ne emersero scossi ma incolumi, e pretesero persino di assistere all'opera. Ma Napoleone III era tutt'altro che divertito, e decise che Parigi avrebbe dovuto avere un nuovo teatro lirico dotato, fra le altre cose, di un ingresso riservato alle persone importanti come lui, un accesso protetto e ragionevolmente a prova di bomba.
Il prefetto di Parigi era il barone Haussmann, geniale urbanista e creatore di gran parte della moderna Parigi. Haussmann indisse una gara fra i più importanti architetti francesi. Furono in centosettanta a presentare i loro progetti, ma l'appalto venne affidato a un'immaginosa stella nascente dell'avanguardia, Charles Garnier. Il suo progetto era veramente imponente e sarebbe costato un'enorme fortuna.
Venne scelta la posizione (il luogo in cui l'Opéra si erge a tutt'oggi) e i lavori cominciarono nel 1861. Nel giro di poche settimane si presentò un grave problema. I primi scavi avevano portato alla luce un corso d'acqua sotterraneo che attraversava l'area. Con la stessa rapidità con cui venivano scavate, le fosse si riempivano d'acqua. In un'era più attenta al risparmio il progetto sarebbe forse stato trasferito su un terreno più adatto, ma Haussmann voleva il suo teatro lirico in quel punto e non altrove. Garnier fece installare otto gigantesche pompe idrovore, che per mesi lavorarono giorno e notte allo scopo di prosciugare il terreno inzuppato. Quindi fece erigere due enormi pareti stagne da cassone attorno al lotto e riempì di bitume lo spazio vuoto per bloccare le infiltrazioni d'acqua nell'area di lavoro.
E fu su queste massicce fondamenta che costruì il suo colosso.
Ebbe successo, ma fino a un certo punto. L'acqua venne tenuta a bada fino alla conclusione di quel livello, ma poi andò a formare un lago nascosto nello strato più profondo dei sotterranei.
Ancora oggi, i visitatori possono scendere fino al punto più basso (è necessario uno speciale permesso) e intravedere il lago fra le grate. Ogni due anni ne viene abbassato il livello per consentire agli ingegneri di perlustrare lo specchio d'acqua a bordo dei loro barchini e ispezionare le fondamenta.
Il gigante di Garnier venne innalzato piano su piano fino a tornare a livello del suolo e proseguire la sua marcia verso l'alto. Nel 1870 i lavori vennero interrotti dall'ennesima rivoluzione che travolse la Francia, provocata dalla breve ma brutale guerra franco-prussiana. Napoleone III fu deposto e morì in esilio. Venne dichiarata una nuova repubblica, ma l'esercito prussiano era ormai alle porte di Parigi. La capitale francese era ridotta alla fame. I ricchi si cibavano degli elefanti e delle giraffe dello zoo, mentre i poveri cucinavano cani, gatti e ratti in fricassea. La Francia avrebbe finito per arrendersi, ma prima che i prussiani se ne andassero, la classe lavoratrice della città, infuriata per ciò che aveva dovuto sopportare, insorse. I ribelli chiamarono il loro regime la Comune e si definirono comunardi, forti di centomila uomini e cannoni sparsi per tutta la città. Mentre però gli esponenti del governo si davano alla fuga, l'esercito regolare formò una giunta militare e represse la rivolta.
Nel corso della sua esistenza, la Comune aveva usato il guscio dell'edificio di Garnier, con il suo labirinto di cantine e depositi, come nascondiglio per le armi, la polvere da sparo... e i prigionieri.
In quei profondi sotterranei ebbero luogo orribili torture ed esecuzioni, tanto che ancora a distanza di anni si continuò a riportare alla luce gli scheletri delle vittime. A tutt'oggi, quei luoghi provocano i brividi. Fu proprio questo mondo sotterraneo, e l'idea che un eremita solitario e sfigurato potesse vivere nelle sue oscurità, ad affascinare Gaston Leroux quarant'anni dopo, alimentando la sua immaginazione.
Nel 1872 la situazione si era ormai normalizzata, e Garnier si rimise al lavoro. Nel gennaio del 1875, a quasi diciassette anni esatti dalla sera in cui Orsini aveva lanciato le sue bombe, il teatro d'opera che era stato concepito come conseguenza del suo gesto venne finalmente inaugurato.
L'edificio occupa quasi tre acri di spazio, poco più di 11.000 metri quadrati. Dal più profondo dei sotterranei al pinnacolo del tetto è alto 17 piani, di cui soltanto 10 sopra il livello del suolo e ben 7 sottoterra. La capienza del teatro è sorprendentemente ridotta, con soltanto 2156 posti a sedere contro i 3500 della Scala di Milano e i 3700 del Met di New York. Ma il retroscena è vasto, con spazio in abbondanza per i camerini degli artisti, i laboratori, le mense, i guardaroba, e con magazzini in cui è possibile sistemare fondali di 15 metri di altezza e diverse tonnellate di peso senza bisogno di smantellarli, facilitandone così la reinstallazione.
La ragione d'essere dell'Opera di Parigi è sempre andata al di là della semplice rappresentazione lirica. Da ciò deriva la relativa piccolezza dell'auditorio, mentre gran parte dello spazio inutilizzato è occupato da atri, saloni, imponenti scalinate e aree destinate a offrire uno splendido scenario alle grandi occasioni ufficiali. Ha inoltre più di 2500 porte che alla fine dello spettacolo richiedono ai vigili del fuoco interni, per la verifica della chiusura, più di due ore di tempo. Ai tempi di Garnier il teatro occupava uno staff permanente di 1500 persone (contro le 1000 circa di oggi) ed era illuminato da 900 globi a gas, alimentati da 16 chilometri di tubature in rame. Nel corso del decennio successivo al 1880 è passato gradualmente all'energia elettrica.
Fu questo edificio fortemente suggestivo a stimolare la vivida immaginazione di Gaston Leroux quando questi lo visitò nel 1910 e udì per la prima volta le voci secondo le quali anni prima vi era vissuto un fantasma, gli oggetti sparivano senza spiegazione, si erano verificati misteriosi incidenti e una vaga figura era stata vista sbucare dagli angoli più oscuri, sempre diretta verso le catacombe nelle quali nessuno osava seguirla. E fu a partire da queste ventennali dicerie che Leroux creò la sua storia.
A quanto sembra, il vecchio Gaston era il tipo di uomo col quale sarebbe piacevole bere un bicchiere in un café parigino, se soltanto si potessero cancellare i novant'anni che ci separano da lui. Era massiccio, gioviale, schietto e allegro: un bon viveur e un ospite generoso, terribilmente eccentrico, con un pince-nez appollaiato sulla punta del naso a compensare la vista difettosa.
Nacque nel 1868 e, sebbene provenisse dalla Normandia, in realtà era venuto al mondo durante un cambio di treno a Parigi, quando sua madre era stata colta alla sprovvista. Era un allievo promettente, ed essendo destinato, come tutti i bravi studenti della borghesia francese, alla carriera di avvocato, all'età di diciott'anni venne rimandato a Parigi a studiare giurisprudenza, una materia per la quale non aveva alcuna predilezione. A ventun anni si laureò, e lo stesso anno suo padre morì lasciandogli un milione di franchi, a quei tempi una fortuna considerevole. Papà era stato a malapena seppellito che il giovane Gaston cominciò a fare baldoria, e nel giro di sei mesi prosciugò l'intero gruzzolo.
Era il giornalismo, non le aule di tribunale, ad allettarlo, e così ottenne un impiego come inviato, prima all'"Echo de Paris" e in seguito al "Matin". Nel frattempo scoprì l'amore per il teatro e si dedicò alla critica, ma fu la sua conoscenza della legge che lo rese una stella del giornalismo giudiziario, obbligandolo ad assistere a un gran numero di esecuzioni con la ghigliottina. Ciò lo fece diventare uno strenuo oppositore della pena capitale, posizione molto insolita per i tempi. Dimostrò ingegno e audacia nell'anticipare la concorrenza e ottenere difficili interviste con personaggi famosi. "Le Matin" lo premiò con un incarico di corrispondente estero senza fissa dimora.
Erano i tempi in cui i lettori non sollevavano obiezioni nei confronti di un corrispondente dotato di fervida immaginazione, e non era affatto inaudito che un giornalista lontano da casa, nell'impossibilità di giungere ai fatti, li inventasse. C'è l'illustre esempio dell'inviato americano dei quotidiani Hearst che era giunto in treno nei Balcani per seguire una guerra civile. Sfortunatamente si era addormentato in viaggio e si era risvegliato soltanto nella capitale successiva, nella quale la situazione era tranquilla. Alquanto perplesso, e rammentandosi che si trovava lì per descrivere un conflitto, l'inviato si era detto che gli conveniva inventarselo e aveva diligentemente redatto una corrispondenza di guerra a forti tinte. Il mattino successivo il servizio era giunto all'attenzione dell'ambasciata americana del paese balcanico, che l'aveva debitamente fatto pervenire ai propri capi di governo. Mentre l'uomo di Hearst dormiva sonni tranquilli, il regime locale aveva mobilitato la milizia, i contadini, temendo un pogrom, si erano ribellati, e la guerra civile era puntualmente esplosa. Il giornalista si era risvegliato con un telegramma proveniente da New York nel quale ci si congratulava con lui per lo scoop. Era questo l'ethos in cui Gaston Leroux nuotava come un pesce in uno stagno.
Ma a quei tempi i viaggi erano più duri e stancanti che al giorno d'oggi. Dopo dieci anni passati a caccia di notizie in Europa, in Russia, in Asia e in Africa, Leroux era diventato una celebrità, ma era anche esausto. Nel 1907, all'età di trentanove anni, decise di fermarsi e darsi al romanzo. Nulla di ciò che creò, in realtà, ammonta a più di ciò che oggi definiremmo un polpettone, ed è per questo, forse, che quasi nessuno dei suoi libri è facilmente disponibile. Firmò soprattutto thriller, per i quali inventò un suo detective; ma tale creazione non divenne mai il suo Sherlock Holmes, la sua icona personale. Ciò nonostante guadagnò bene, gustò ogni singolo istante della propria esistenza, sperperò gli anticipi non appena gli editori glieli versavano e sfornò sessantatré libri in vent'anni di carriera. Morì cinquantanovenne nel 1927, soltanto due anni dopo che la versione di Cari Laemmle del Fantasma dell'Opera con Lon Chaney ebbe la sua prima e imboccò la strada che l'avrebbe fatta diventare un classico.
Rileggendo il testo originale oggigiorno, ci si trova francamente in imbarazzo. L'idea di base c'è, ed è brillante, ma il modo in cui il povero Gaston la racconta è un gran pasticcio. Comincia con un'introduzione firmata in cui sostiene che ogni riga e parola di ciò che scrive è la verità. Una mossa, questa, molto pericolosa. Dichiarare apertamente che un'opera narrativa è la verità assoluta, e pertanto un fatto storico, significa consegnarsi in ostaggio alla fortuna e allo scetticismo del lettore, poiché da quel momento in avanti ogni singola affermazione appurabile deve essere assolutamente vera. Leroux contravviene a questa regola quasi in ogni pagina.
Quel che l'autore può fare è cominciare il suo romanzo "a freddo", dando l'impressione di raccontare una storia vera ma senza dirlo apertamente, lasciando il lettore nel dubbio se ciò che sta leggendo sia effettivamente successo oppure no. Viene così creata quella miscela di realtà (fact) e invenzione (fiction) che oggi chiamiamo faction. Un trucco utile, quando si utilizza questo metodo, è inframmezzare la
finzione con interludi di realtà che il lettore può rammentare o verificare a piacimento. In questo modo, l'autore accresce le perplessità del lettore, senza rendersi colpevole di un'aperta menzogna.
Ma c'è una regola aurea da rispettare: la verità di ogni cosa che dice deve essere o perfettamente dimostrabile oppure del tutto indimostrabile. Per esempio, un autore può scrivere: "All'alba del 1° settembre 1939, cinquanta divisioni dell'esercito hitleriano invasero la Polonia. Alla stessa ora, un uomo dall'aria affabile, con documenti perfettamente falsificati, giunse dalla Svizzera alla stazione centrale di Berlino e scomparve nella città appena desta." Il primo è un fatto storico, il secondo è qualcosa che non può essere provato o confutato. Con un pizzico di fortuna, il lettore crederà che siano veri entrambi e continuerà a leggere. Leroux, tuttavia, comincia dicendoci che ciò che ha in serbo per noi non è altro che la verità, e rafforza la sua affermazione rivendicando conversazioni con testimoni, letture di rapporti e diari recentemente scoperti (da lui stesso) e mai visti in precedenza.
Ma subito dopo la sua narrazione si avventura in ogni sorta di direzione, imboccando vicoli ciechi e tornando sui propri passi, sfiorando una serie di misteri non chiariti, di affermazioni non dimostrate e di ridicole incongruenze finché il lettore non viene preso dal desiderio di fare ciò che ha fatto Andrew Lloyd Webber: prendere una grossa matita rossa e blu e sfrondare le ansimanti digressioni per riportare la storia a quello che in definitiva è: un racconto sbalorditivo ma credibile.
Dopo aver trattato così severamente Monsieur Leroux, sarebbe giusto e corretto fare qualche esempio. All'inizio della sua narrazione, Leroux allude al fantasma chiamandolo Erik, senza però spiegarci come ne abbia saputo il nome. Il fantasma non amava certo fare conversazione, e non era avvezzo a presentarsi al primo venuto. Il caso vuole che Leroux avesse ragione, e possiamo soltanto dedurre che ne avesse saputo il nome da Madame Giry, sulla quale torneremo quanto prima.
La cosa ancora più sconcertante è che Leroux racconta l'intera vicenda senza mai fornire una data precisa. Per un giornalista investigativo, come lui da a intendere di essere, è un'omissione molto strana. Ciò che più si avvicina a un indizio è una frase della sua stessa introduzione: "Gli eventi risalgono a non più di trent'anni or sono".
Questa affermazione ha portato alcuni critici a sottrarre trent'anni al 1911, data di pubblicazione del libro, e a presumere che la storia si svolga nel 1881. Ma "non più di" potrebbe anche voler dire "molto meno", e numerosi piccoli indizi indicano che la vicenda è ambientata ben più tardi del 1881, più probabilmente attorno al 1893. Il più importante di questi indizi è l'episodio del completo spegnimento dell'impianto d'illuminazione dell'auditorio e del palcoscenico, incidente che durò soltanto pochi secondi.
A sentire Leroux, il fantasma, offeso dal rifiuto di Christine, la donna che ama di una passione ossessiva, ha deciso di rapirla. Per ottenere il massimo effetto, ha scelto il momento in cui lei si trova al centro del palco, nel corso della rappresentazione del Faust. (Nel musical, Lloyd Webber l'ha trasformato nel Don Giovanni trionfante, un'opera lirica interamente composta dallo stesso fantasma.) Le luci si spengono all'improvviso, gettando il teatro nel buio più assoluto, e quando si riaccendono Christine è scomparsa. Ora, ciò non può essere fatto con 900 globi a gas.
Certo, un misterioso sabotatore che sapesse come muoversi avrebbe potuto abbassare la leva principale, interrompendo il rifornimento di gas ai globi. Ma le lampade si sarebbero spente in sequenza, e soltanto dopo un gran crepitìo. Ancora peggio, poiché ai tempi la riaccensione automatica non era ancora nota, per riportare la luce sarebbe stato necessario il passaggio di un inserviente con un accenditoio. Proprio in questo consisteva l'umile professione del lampionaio. L'unico modo per provocare il buio assoluto abbassando una leva e ripristinare l'illuminazione nel
giro di un altro millisecondo è agire sul quadro comandi di un impianto elettrico. E ciò trasporta la data ad anni più recenti di quelli indicati da Leroux.
L'autore sembra anche aver commesso un errore circa la posizione, l'aspetto e l'intelligenza di Madame Giry, errore che viene corretto nel musical di Lloyd Webber. Nel libro originale. Madame Giry viene presentata come una modesta donna delle pulizie. In realtà era la direttrice del coro e del corps de ballet, e nascondeva, dietro la rigida e severa facciata necessaria per tenere a freno un gruppo di ragazzine eccitabili, una natura coraggiosa e compassionevole.
Bisogna perdonare Leroux per il suo errore, poiché faceva affidamento sulla memoria umana, quella dei suoi informatori, i quali stavano evidentemente descrivendo un'altra donna. Ma qualsiasi poliziotto o inviato giudiziario potrebbe confermare che i testimoni, anche i più onesti e i più retti, hanno sempre qualche difficoltà a mettersi d'accordo fra loro su ciò che hanno visto e a rammentarsi con precisione gli eventi del mese prima, per non parlare di fatti vecchi di diciott'anni.
Un errore ben più vistoso è quello commesso da Monsieur Leroux nel descrivere il momento in cui il fantasma, in un altro accesso di stizza, fa crollare il lampadario sul pubblico provocando la morte di una donna. Il fatto che la vittima non sia altri che la sostituta di Madame Giry, l'appena licenziata amica del fantasma, è un delizioso tocco da romanziere. Ma Leroux prosegue scrivendo che il lampadario pesava 200.000 chilogrammi, e cioè 200 tonnellate. Un peso simile farebbe crollare il lampadario ogni sera, e con esso una buona metà del soffitto. Il lampadario pesa in realtà 7 tonnellate; le pesava quando è stato fissato e le pesa ancora oggi.
Ma il più bizzarro abbandono, da parte di Leroux, delle più elementari regole d'indagine e informazione è l'appropriazione del finale del libro da parte di un misterioso personaggio conosciuto soltanto come "il Persiano". Questo bizzarro ciarlatano viene nominato soltanto due volte nei primi due terzi della storia, e in entrambi i casi di sfuggita. Ciò nonostante, dopo il rapimento di Christine dal palcoscenico, Leroux gli cede il controllo della narrazione, permettendogli di riferire la storia dal suo punto di vista per l'ultimo terzo del libro. Ed è un racconto, il suo, tutt'altro che plausibile.
Eppure Leroux non cerca mai di verificare le sue asserzioni. Nonostante il giovane visconte Raoul de Chagny sia stato con ogni evidenza testimone degli eventi narrati dal Persiano, Leroux sostiene di non averlo potuto rintracciare per verificare la storia. Ma certo che avrebbe potuto!
Non sapremo mai perché il Persiano odiasse a tal punto il fantasma, ma quello in cui si produce è una vera e propria montagna di diffamazioni che conduce il poveretto dritto ai cancelli dell'inferno. Prima dell'intervento del Persiano, Leroux e la maggior parte dei suoi lettori potrebbero provare una certa umana pietà per il fantasma. E' un uomo mostruosamente sfigurato in una società che troppo spesso identifica la bruttezza con il peccato, ma non è colpa sua. E' evidente che trabocca di odio per la società, ma la sua vita di esule e reietto deve essere davvero agghiacciante. Fino all'avvento del Persiano, possiamo vedere Erik come la Bestia contrapposta alla Bella (rappresentata dalla cantante Christine), e non come un personaggio intrinsecamente malvagio.
Il Persiano invece lo dipinge come un sadico folle, un assassino seriale che strangola le proprie vittime per il puro piacere di farlo, un aguzzino che si diletta a costruire camere di tortura e a spiare i poveracci che vi agonizzano, un uomo che per anni ha lavorato al servizio dell'altrettanto sadica imperatrice di Persia, creando per lei tormenti ancora più rivoltanti da infliggere ai suoi prigionieri.
A sentire il Persiano, lui e il giovane aristocratico sono catturati mentre scendono nei sotterranei più profondi per cercare di liberare
Christine, vengono rinchiusi in una camera di tortura, rischiano di essere bruciati vivi ma alla fine riescono miracolosamente a fuggire, perdono i sensi e si risvegliano sani e salvi. Lo stesso accade a Christine. E' una storia davvero farsesca. Ciò malgrado, al termine del libro Leroux ammette di nutrire una certa pietà per il fantasma, sentimento del tutto impossibile se si crede alle parole del Persiano.
Ma in tutti gli altri dettagli, l'autore sembra aver bevuto fino in fondo il guazzabuglio di menzogne del ciarlatano.
Per nostra fortuna, la storia del Persiano rivela una crepa così evidente da consentirci di non credere a una parola di ciò che dice.
Sostiene che prima di rifugiarsi nei sotterranei dell'Opera, Erik avesse vissuto un'esistenza lunga e soddisfacente. A sentire il Persiano, quell'uomo grottescamente sfigurato aveva viaggiato in lungo e in largo nell'Europa centrale e orientale, fino al cuore della Russia e al Golfo Persico, per poi tornare a Parigi e partecipare alla costruzione del teatro lirico di Garnier in qualità di direttore dei lavori. E' un'asserzione che non può avere il minimo fondamento.
Se Erik avesse vissuto un'esistenza simile per così tanti anni, avrebbe certamente imparato ad accettare la propria deturpazione. Per svolgere un ruolo direttivo nella costruzione dell'Opera avrebbe dovuto partecipare a riunioni, affrontare gli architetti, trattare con i subappaltatori e i muratori. Perché diavolo avrebbe quindi deciso, volendo rifuggire dal genere umano, di rifugiarsi sottoterra? Un uomo simile, con la sua astuzia e intelligenza, avrebbe raggranellato un bel gruzzoletto dall'impresa e si sarebbe ritirato nell'agio di una residenza di campagna circondata da mura, trascorrendo il resto della sua esistenza in un volontario isolamento, forse assistito da un domestico immune alla sua bruttezza.
L'unica via sensata che possa percorrere uno studioso moderno, come Andrew Lloyd Webber ha già fatto con il suo musical, è quella di accantonare in blocco le asserzioni del Persiano, e soprattutto di non credere ne a lui ne a Leroux quando sostengono che il fantasma sia morto poco dopo gli eventi narrati. Il cammino più ragionevole da seguire è quello che riconduce agli elementi di base e a ciò che possiamo sapere o presumere sulla base della logica."
24 persone l'hanno trovato utile
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Recensito in Italia il 14 febbraio 2021
Per chiunque dica che è meglio il musical(per carità è indubbiamente un capolavoro)o addirittura una versione chiamata "un Fantasma a Manhattan",per chi accusa che il romanzo di Leroux sottolinei troppo la crudeltà,la perversione del Fantasma. Questa non è una storia romantica dal gran finale,il bene vince si,ma Leroux vuole farci capire che il mondo è crudele,che se non hai una bella faccia potrai anche cantare come un Angelo ma sarai sempre discriminato. Erik non può essere come la Bestia che è un personaggio reso volutamente tranquillo e buono per non spaventare i bambini,Erik è la pura essenza della disperazione,è malato d'amore perchè non ne ha mai ricevuto e mai ne riceverà,è folle,è sadico perché non si considera nemmeno appartenente alla razza umana,la disprezza,proprio come loro disprezzano lui. Il Fantasma non conosce regole,solo odio,perché è questo che gli hanno sempre donato gli altri,se non era abbastanza mostro per come appariva l'hanno reso completamente tale per come l'hanno trattato. Smettiamola di preferire stupidi sequel scritti da un autore così scialbo e anonimo che non può nemmeno minimamente paragonarsi a Leroux. Rispettiamo i classici. Rispettiamo l'arte originale.
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