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Stupore e tremori Copertina flessibile – 17 maggio 2017
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- Età di letturaDa 3 anni in su
- Lunghezza stampa105 pagine
- LinguaItaliano
- Dimensioni13.5 x 1 x 20.2 cm
- EditoreVoland
- Data di pubblicazione17 maggio 2017
- ISBN-108862433107
- ISBN-13978-8862433105
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Dettagli prodotto
- Editore : Voland; 7° edizione (17 maggio 2017)
- Lingua : Italiano
- Copertina flessibile : 105 pagine
- ISBN-10 : 8862433107
- ISBN-13 : 978-8862433105
- Peso articolo : 40 g
- Dimensioni : 13.5 x 1 x 20.2 cm
- Posizione nella classifica Bestseller di Amazon: n. 13,587 in Libri (Visualizza i Top 100 nella categoria Libri)
- n. 1,208 in Narrativa contemporanea (Libri)
- n. 1,528 in Narrativa letteraria (Libri)
- n. 5,019 in Narrativa di genere (Libri)
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Racconta l’esperienza autobiografica di Amélie, una ragazza belga che ha vissuto in Giappone nell’infanzia, e che nel 1990 riesce a farsi assumere come traduttrice in una grande azienda giapponese, la Yumimoto (non so se sia il nome reale o inventato). Nonostante le sue competenze, e nonostante dimostri di avere delle qualità nello scrivere un rapporto, finisce schiacciata nel rigido meccanismo gerarchico dell’azienda, fatto di rituali e formalismi completamente estranei alla logica occidentale. Dopo una serie umiliante di rimproveri e declassamenti si ritrova a fare la “guardiana” dei bagni. A quel punto vorrebbe dimettersi ma evita di farlo, sia perché agli occhi di un giapponese sarebbe una sconveniente ammissione di colpevolezza, sia perché non vuole causare imbarazzo a Fubuki Mori, la sua responsabile, nonostante sia stata proprio lei la causa della sua rovina. Alla fine del suo periodo di prova va dai suoi superiori a recitare una formula cerimoniosa con cui chiede scusa per non essersi dimostrata all’altezza dei compiti assegnatoli. È una sorta di discesa kafkiana fino al rango più basso della scala sociale, in cui ci si sente terribilmente colpevoli anche se non si capisce mai quale sia la colpa. Le vicende sono trattate con ironia e distacco, per quanto sotto traccia sembra emergere un certo rancore sia per i propri superiori sia per la rigida struttura aziendale giapponese.
Il titolo, "Stupore e tremori", si riferisce all’atteggiamento che dovevano tenere le persone ammesse al cospetto dell’imperatore. La tesi di fondo è che l’etichetta giapponese imponga alle persone non solo un preciso comportamento, ma addirittura di provare determinate emozioni in determinate circostanze. Nelle varie occasioni la protagonista non viene accusata tanto di aver commesso questo o quell’errore, quanto di non provare la vergogna dovuta, di non manifestare contrizione per l’errore commesso. È quello che si potrebbe definire un controllo pervasivo, totalitario della vita degli impiegati, perché arriva a prescrivere qualcosa di assolutamente personale e intimo come le emozioni.
Ne esce un quadro impietoso del mondo lavorativo giapponese, anche se probabilmente negli ultimi trent’anni qualcosa sarà cambiato. In particolare la Yumimoto (e per estensione la società giapponese) viene descritta come:
Rigidamente gerarchica e ritualizzata. Alla Yumimoto tutti appaiono devoti a norme e abitudini rigide e inefficienti. I superiori sono per lo più incompetenti che esercitano il potere col piacere di sottomettere, di umiliare i sottoposti, che invece vivono nel terrore di sbagliare, non prendono iniziative e continuano giorno dopo giorno a fare cose di cui non capiscono il significato. Una delle regole ‘di sopravvivenza’ più disumane è quella di non provare empatia per chi subisce delle punizioni, di non contraddire chi ti punisce, di non esternare emozioni. Il più grande errore della protagonista alla fine è quello di voler consolare la sua diretta responsabile, che per questo motivo si sente umiliata e la punisce con lo stesso sadismo con cui era stata a sua volta punita dal proprio superiore. Manca completamente l’idea di un ambiente di lavoro aperto in cui ognuno possa esprimere le proprie opinioni. Non c’è innovazione, tutto sempre prescritto da un testo sacro e immutabile, una sorta di bushido aziendale.
Razzista Quando Amélie serve il tè in una riunione aziendale viene severamente rimproverata per aver mostrato di conoscere la lingua giapponese, e le viene detto che deve dare l’impressione di essere una stupida occidentale che non comprenda le loro frasi: deve servire il tè come una scimmia ammaestrata. Il fatto di commettere un errore viene considerato normale, in quanto essendo straniera non ci si aspetta da lei le competenze e le conoscenze di una giapponese. A un certo punto si parla di un impiegato olandese. Fumiko, la sua superiora, inizialmente ne è attratta, ma poi si scopre che a questo olandese puzzano le ascelle, e viene etichettato come un barbaro impresentabile. Da quel momento Fumiko lo ignora. I suoi colleghi dicono, degli occidentali: “Se si riuscisse a fargli capire quanto puzzano forse si riuscirebbe a vendergli dei deodoranti”.
Sessista La donna giapponese viene presentata come una sorta di soprammobile sociale, una persona condannata a incarnare per tutta la vita la grazia prescritta dagli antenati, e a cui è preclusa qualunque ricerca della felicità. Dovrà interpretare il proprio ruolo senza manifestare il minimo segno di dissenso, accettando i tanti sacrifici connessi. Quando andrà al bagno dovrà tirare lo sciacquone per non far sentire i rumori del suo corpo, mentre gli uomini possono fare le stesse cose rumorosamente, come ha modo di rendersi conto Amélie nel suo ruolo di guardiana dei cessi.
Ipocrita Nell’azienda tutti si scusano per colpe che sanno di non aver commesso, con l’intento perverso di gratificare l’ego del proprio superiore mortificando il proprio fino al masochismo. In tutto il romanzo non c’è una persona che si senta in diritto di obiettare contro un sistema che pure considera ingiusto, o anche solo di esprimere la propria idea quando questa non collima con quella del superiore, che in genere è un’idea sbagliata, ripetuta da decenni con un’ossessione religiosa.
Alla fine del libro l’autrice racconta di quando, dopo aver pubblicato il suo primo romanzo, riceve una lettera di congratulazioni proprio da Fubuki, la sua ex-superiore, la stessa che l’aveva umiliata declassandola a guardiana dei cessi. Sembra quasi che Fubuki, contravvenendo alle direttive aziendali, riveli finalmente i propri sentimenti di amicizia e di stima, ma poi ci si chiede: “Chi ci dice che quella lettera di congratulazioni non sia l’ennesimo atto prescritto dal rituale giapponese, tanto perfetto nella forma quanto poco sentito nella sostanza?”
Nessuna mansione viene svolta dalla protagonista in modo adeguato secondo i canoni del popolo orientale noto per essere efficientissimo ed indefesso sul lavoro. Eppure lei è una ragazza intelligente e preparata ma tale e tanta la pressione esercitata dai superiori, che nulla ma proprio di ciò che deve fare, le riesce. Terminerà l'anno di lavoro demansionata vieppiù fino a diventare la donna delle pulizie dei bagni! Ma questa incredibile donna riuscirà ad interpretare questa esperienza in un modo inatteso e positivo. L'ho letto in una sera!