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La ragazza con la Leica Paperback – 7 settembre 2017
- Lunghezza stampa336 pagine
- LinguaItaliano
- EditoreGuanda
- Data di pubblicazione7 settembre 2017
- Dimensioni14.1 x 3 x 21.8 cm
- ISBN-109788823518353
- ISBN-13978-8823518353
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Dettagli prodotto
- ASIN : 8823518350
- Editore : Guanda; 19° edizione (7 settembre 2017)
- Lingua : Italiano
- Paperback : 336 pagine
- ISBN-10 : 9788823518353
- ISBN-13 : 978-8823518353
- Peso articolo : 380 g
- Dimensioni : 14.1 x 3 x 21.8 cm
- Posizione nella classifica Bestseller di Amazon: n. 59,342 in Libri (Visualizza i Top 100 nella categoria Libri)
- n. 154 in Singoli fotografi
- n. 226 in Collezioni e mostre fotografiche
- n. 500 in Narrativa biografica (Libri)
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fotografia di cui lei divenne una leggenda. Nata Gerta Pohorille da una famiglia ebrea di Stoccarda, presto Gerta si trasferì a Parigi, dove divenne amica di artisti e intellettuali e imparò i segreti della fotografia. Qui conobbe un fotografo ungherese, Endre Friedmann: i due crearono un sodalizio amoroso e artistico, fu Gerta a cambiare il nome di Endre in Robert Capa, che in breve divenne molto richiesto. Parafrasando il nome di Greta Garbo, Gerda diventò Gerda Taro. I due cominciarono a fotografare insieme, riusciamo a distinguere le foto dell'una e dell'altro perché i negativi di Garda erano quelli quadrati della sua Leica, mentre quelli di Capa erano rettangolari...ma nemmeno questo è sicuro, perché a volte i due si scambiavano le macchine. Diverse foto famose attribuite a Capa probabilmente furono scattate dalla Taro. I due furono pionieri del fotogiornalismo, documentando gli eventi con il linguaggio universale delle immagini e, allo scoppio della guerra civile spagnola, si recarono sul fronte, seguendo le forze che si erano ribellate al dittatore Franco. E fu nel 1937, a Villette, che Garda incontrò la sua fine: orribilmente schiacciata da un carro armato amico, morì dopo alcune ore, preoccupandosi che la sua macchina fotografica non fosse stata distrutta. Al suo funerale partecipò tutta Parigi, per lei scrissero poeti famosi come Rafael Alberti, la sua tomba al cimitero del Père Lachaise fu decorata dallo scultore Giacometti, ma qualche anno dopo, quando i nazisti entrarono a Parigi, la profanarono in quanto simbolo di ciò che era contrario all'ideologia germanica. Dopo la morte di Gerda, Capa ebbe il cuore spezzato, ebbe in seguito numerose amanti, tra cui dive del cinema hollywoodiano, divenne il fotografo di punta dell'Agenzia Magnum, ma tenne sempre in tasca una foto della "biondina". Robert Capa morì tragicamente, saltando su una mina in Indocina e con questa tragica fine il suo mito si alimentò. Molti anni dopo, in Messico, venne ritrovata una valigia che Capa aveva affidato a mani sicure: il contenuto della valigia messicana erano rullini da sviluppare, sia di Gerda che di Capa e hanno riscritto alcuni capitoli della vita dei due fotografi. Questo libro è un romanzo appassionante, ma la ricostruzione storica è rigorosa e rende giustizia alla memoria di una delle protagoniste del'900, inevitabilmente associata a Capa e sicuramente oscurata dalla fama del suo mito, che lei stessa aveva creato. Un libro straordinario, da leggere assolutamente.
Un premio letterario, è implicito, va assegnato a chi scrive buona letteratura e “La ragazza con la Leica” - perdonatemi se non uso mezzi termini - è scritto davvero male. Sicuramente è anche il risultato del fatto che l’italiano non è la sua lingua madre. Ma ciò non può giustificare. Sia chiaro, è solo il parere di un NON addetto ai lavori e ignorante quale sono. Non ho letto gli altri libri finalisti e quindi non posso sapere se fossero addirittura peggio.
Ho letto post di bloggers, giornalisti e critici letterari che hanno gioito e si sono complimentati per la sua vittoria. Ma stranamente ho visto anche pochi commenti di comuni mortali che si univano al coro. Al contrario.
Il libro della Janeczek è pieno di periodi tra parentesi: a me piace una scrittura fluida che riesca ad evitarle o a ridurle al minimo sindacale. In questo libro se ne abusa. È infarcito di espressioni o anche interi periodi in lingua straniera: tedesco, francese, spagnolo, inglese quasi mai tradotti per chi legge. Questo risulta ancora più fastidioso, quasi sprezzante nei confronti dei lettori, di cui si dovrebbe avere, invece, il massimo rispetto. Anche della loro ignoranza.
Complementi oggetto ripetuti a go-go per dare enfasi alla frasi, qualcosa che io ritengo una peste del linguaggio, e che finisce per appesantire la scrittura. Se non ce n’è uno per pagina, poco ci manca.
Frequenti salti spazio-temporali nella narrazione, che disorientano, confondono, fanno perdere il filo del racconto anche perché non sufficientemente spiegati o riallacciati alla storia che precede. Ad esempio, in un capitolo ci si ritrova agli inizi degli anni sessanta in Italia e a parlare del governo Tambroni, anche in questo caso dando un po’ troppo per scontato che il lettore conosca i fatti. Quanto raccontato nulla aggiunge sulla persona di Gerda Taro. È vero, non è una biografia, probabilmente neanche una biografia romanzata, bensì semplicemente un romanzo, ma troppo poco viene detto di e su Gerda Taro della quale resta poco più di un alone di leggenda.
Il romanzo è strutturato in tre parti più un epilogo. In ciascuna delle tre parti la vita di tre personaggi vicini a Gerda Taro viene romanzata e, a partire dai loro ricordi, si cerca di raccontare anche la figura di Gerda Taro.
Il risultato è che non è né un buon romanzo, né, tantomeno, una buona biografia. La cosa più bella del libro è la fotografia scelta per la copertina; la parte migliore, l’epilogo, più a carattere biografico.
Mi spiace anche dirlo, perché da quel poco che ho letto dell’autrice, interviste, articoli etc., provo simpatia per la persona.
Tante le recensioni positive del libro della Janeczek di personaggi più o meno noti, a partire da Saviano, che guardacaso fu da lei segnalato all’editore per la pubblicazione del suo primo libro, “Gomorra”.
A volte è utile farsi un giro e leggere le recensioni di semplici lettori senza alcune legame col mondo letterario, ad esempio i commenti degli acquirenti su librerie online quale questa. Bloggers, giornalisti etc. troppo spesso pagano un qualche debito di riconoscenza o cercano di attirarsi le simpatie di questo o quello scrittore per aumentare il proprio credito. Prova ne è che, di qualsiasi libro, facile è trovare recensioni positive, più difficile trovare stroncature.
“La ragazza con la Leica” ha vinto anche il premio Bagutta 2018 con la seguente motivazione: “Ha avuto il merito di ritrovare negli archivi della storia una figura femminile pressoché dimenticata, sottraendola a un oblio immeritato.”
Vero. Bisogna però poi raccontarla con arte letteraria, cosa di cui, a mio parere, non brilla affatto il libro.
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Differenziert in der Sprache, interessant und intelligent.

To me this is a biography based on the joy of living. From a Polish Jewish, middle class family Gerda Taro knew how to make the most of her life, despite its brevity. However, this is not a rounded portrait, nor an elegy and thankfully not a historical frieze. It is for me a little bit of all three interwoven in the private memories of three real protagonists who encountered Gerda and each other in various parts of Europe as Hitler rose to power.
The book, based on many years research gives assurance that what is presented as a novel is based on historical evidence linked together with imagined dialogue. Gerda , attractive, smart, ambitious, and driven readily attracted people, I think partly due to her positive outlook. While she established many friendships and relationships, she also often discarded them as her life advanced. She grabbed opportunities but also took many risks both in her personal life and as a photojournalist. She seems to have had enormous faith in herself not only to survive difficult times but also to achieve her ambitions, despite those external forces forcing changes. In her drive to succeed there were casualties as those peripheral to her aims were often abandoned, at least for the time being. Sadly, as she died so young she was not able to make amends.
Her one risk too many was in the Spanish Civil War trying to take that momentous photograph to make her name, not just as a woman, but as the person with the camera in the right place at the right time. Despite her love of the limelight, for herself and her friends, she was behind the name Robert Capa, for many years her work lay unrecognised. The epilogue for me was one of the best sections of the book, bringing together many loose ends and telling the amazing story of the "Mexican suitcase " containing key photos by Gerda that allows us all to appreciate her bravery and her talents.
The book encouraged me to check out the many references to famous personalities (Steinbeck, Hemmingway, Trotsky et al ) and photos of that era. It also took me to a wonderful exhibition of a contemporary of Gerda - Lee Miller - great to compare the differing but in many ways both had similar personalities, if differing circumstances surrounding their lives.
I loved this book, despite the time taken to read and digest.
