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Furore Formato Kindle
Nell’odissea della famiglia Joad sfrattata dalla sua casa e dalla sua terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come migliaia e migliaia di americani, rivive la trasformazione di un’intera nazione. L’impatto amaro con la terra promessa dove la manodopera è sfruttata e mal pagata, dove ciascuno porta con sé la propria miseria “come un marchio d’infamia”.
Al tempo stesso romanzo di viaggio e ritratto epico della lotta dell’uomo contro l’ingiustizia, Furore è forse il più americano dei classici americani, da leggere oggi per la prima volta in tutta la sua bellezza.
- LinguaItaliano
- EditoreBompiani
- Data di pubblicazione6 novembre 2013
- Dimensioni file1459 KB
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Dettagli prodotto
- ASIN : B00GCDX5EM
- Editore : Bompiani (6 novembre 2013)
- Lingua : Italiano
- Dimensioni file : 1459 KB
- Da testo a voce : Abilitato
- Screen Reader : Supportato
- Miglioramenti tipografici : Abilitato
- Word Wise : Non abilitato
- Memo : Su Kindle Scribe
- Lunghezza stampa : 536 pagine
- Posizione nella classifica Bestseller di Amazon: n. 7,119 in Kindle Store (Visualizza i Top 100 nella categoria Kindle Store)
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(Versione Kindle perfetta, forse acquisterò anche quella rilegata da tenere in libreria)
Bompiani - ed 2013 trad. Sergio Claudio Perroni
Posso dire di essere andato a colpo sicuro, trattandosi di uno dei massimi capolavori della letteratura d’Oltreoceano. Si è già scritto e detto di tutto a riguardo e non servono certo le mie impressioni, però, mi piace lasciare traccia di cosa ha colpito me di questa lettura.
Intanto mi posso vantare – è un vezzo tutto mio – che al primo incontro con il protagonista mi sono ricordato che è legato all’emozionante ballata di Bruce Springsteen che si intitola “The Ghost of Tom Joad“: finalmente ho capito di chi è il fantasma!
Il romanzo è incentrato sul lungo viaggio della speranza della famiglia Joad alla ricerca della Terra Promessa che, stando ad alcuni volantini pubblicitari, pareva essere la California.
Come molti altri “Okie” (contadini dell’ Oklahoma), questa famiglia decide di abbandonare la propria terra nel periodo della Grande Depressione per via delle difficoltà sorte con il Dust Bowl, la tempesta di polvere causata da pratiche agronomiche sbagliate e dalla siccità, in grado di alzare enormi nuvole di terra. La vita contadina è parallelamente messa a dura prova dalla meccanizzazione dei mezzi di produzione e dalla concentrazione delle terre nelle mani di pochi, solitamente banche.
Il trattore come la banca sono visti come mostri inumani e tratteggiano forse una caratteristica universale del modello economico: non c’è un responsabile. Non ce la si può pigliare con nessuno per quanto sta avvenendo. Il trattore non è di proprietà del suo conducente, che è esso stesso dipendente di una società e la banca non appartiene a nessuno. E’ una banca. Sono soggetti de-individualizzati e qualsiasi responsabilità rispetto alle scelte prese sfuma.
“La banca è qualcosa di diverso da un essere umano. Capita che chiunque faccia parte di una banca non approvi l’operato della banca, eppure la banca lo fa lo stesso. Vi ripeto che la banca è qualcosa di più di un essere umano. È il mostro. L’hanno fatta degli uomini, questo sì, ma gli uomini non la possono tenere sotto controllo.”
Forse il punto di vista di Steinbeck rispetto ai trattori sa un po’ di luddismo e risente del peso degli anni, ma relativamente a questo processo di deindividualizzazione, mi è facile pensare a tanti fenomeni che sconvolgono l’economia di oggi: un’azienda viene acquistata da un fondo di investimento e viene fatta fallire con conseguente licenziamento del personale. La “colpa” è del fondo di investimento. E quindi di nessuno. La finanza ha accentuato ancora di più questi processi… è eterea e dematerializzata apparentemente, poi sappiamo quanto sia in grado di incidere in profondità nella carne della gente.
Sta di fatto che questi poveri contadini in miseria sono attratti a emigrare dall’inganno di volantini che promettono lavoro e prosperità nella remota California. Al termine del viaggio si trovano a popolare insieme a migliaia di altri poveri cristi le Hoverville, baraccopoli approntate alla belle-e-meglio in presenza di un corso d’acqua. Il miraggio del tanto agognato lavoro si risolve o nella prevalente disoccupazione o nell’affaticata disperazione di misere occupazioni stagionali, così sottopagate da bastare a malapena per alimentarsi.
La truffa risiede nell’evidenza che i grandi latifondi, grazie agli annunci dei volantini, sono in grado di attirare una massa di lavoratori spropositata rispetto alle reali attività da svolgere, il che li metteva nelle condizioni di avere grande disponibilità di una forza lavoro affamata e pesantemente sfruttabile.
Gli okie diventano così stranieri in patria. Il fenomeno è così massiccio da generare intolleranza da parte delle cittadine californiane che ipocritamente li respingono: da un lato sono quelli che lavorano per un tozzo di pane nelle piantagioni di pesche e cotone; dall’altro però sono anche quelli che arrivano in California a sporcare il paese e a sottrarre occupazione agli abitanti. Steinbeck descrive con maestria l’evoluzione di quel sentimento di diffidenza che porterà all’odio, anche attraverso un sistema di repressione basato su uno stretto controllo da parte degli sceriffi e delle forze di polizia in genere, che frequentemente sfociano in ronde, pestaggi, assassini e incendi di campi.
Questo viaggio biblico per l’America (attraverso la route 66) segna anche la fine della famiglia: i due nonni muoiono; il padre stesso si riduce a braccia dei campi a favore del ruolo della madre; la figlia viene abbandonata dal marito e partorirà un bimbo morto; uno dei due figli, Al, si perde dietro alle ragazze e il protagonista, Tom Joad, deve prima nascondersi e poi scappare per aver ucciso uno sbirro durante un pestaggio.
Ciò che distingue le alterne sfortune della famiglia Joad dalla mesta sorte, ad esempio, dei Malavoglia nostrani sono proprio il protagonista e la sorella puerpera.
Tom abbraccia una confusa ma convintamente sincera causa rivoluzionaria per essersi reso conto di provare empatia per chiunque lotti per la propria dignità. Prima di dileguarsi – e diventare il fantasma narrato da Bruce Springsteen – spiega così l’assoluta essenzialità della sua scelta alla madre:
“E così no importa. Perché io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto. Sarò in tutti i posti… dappertutto dove ti giri a guardare. Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì. Se Casy aveva ragione, be’, allora io sarò negli urli di quelli che si ribellano… e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito… be’, io sarò lì”
La sorella Rose of Sharon, dopo la fuga del marito, mette alla luce un bimbo che nasce morto durante una terribile alluvione. Poco dopo il drammatico parto, dovendo abbandonare il vagone ormai sommerso dall’acqua, incontra nell’asciutto di un fienile due poveretti. Uno dei due, il padre, sta morendo a causa della malnutrizione. Rose of Sharon, in un gesto di estrema umanità, decide quindi di allattarlo al suo seno. Una scena di un impatto sconvolgente, che richiama i simboli potenti della maternità, del latte, della rinascita. Un finale sicuramente memorabile, anche per chi come me, colpevolmente legge poco.
se essendo stato scritto quasi un secolo fa è molto attuale.
L’opera si sviluppa su due binari, il primo è la narrazione dell’ordalia della famiglia Joad, una delle tante famiglie povere che ai tempi della Grande Depressione, dagli stati poveri del mid-west, furono costrette a emigrare lungo la Route 66 verso la California, nella speranza, o nell’illusione, di trovare un posto dignitoso dove vivere. Il secondo, che miscela ampiamente i tratti del saggio di storia e sociologia, raccontare in ottica più ampia le condizioni dei disperati braccianti della frutta emigranti, e di quel contorno di politici, attivisti politci, uomini delle forze dell’ordine, latifondisti, banchieri, borghesi e altri umili lavoratori, le cui vite in qualche modo ne vengono a contatto. Ne emerge così un preciso documento di cronaca e denuncia, e al tempo stesso un affresco estremamente vivido, viscerale, di una miseria umana che era umiliazione dello spirito prima che delle condizioni di vita materiali. Una considerazione dell’umanità che per la prima volta subordina anche la dignità dell’uomo alla produzione capitalistica. Come poi avrebbe dimostrato anche ne “La valle dell’Eden”, Steinbeck dimostra di saper discettare colla stessa disinvoltura di filosofia e Chevrolet, di balli per abbordare le ragazze e meandri della mente degli uomini e donne.
Questo è lo scenario su cui si muovono i membri della famiglia protagonista, ognuno mosso, secondo il mio parere, da valori differenti, che sono paradigma dei valori che muovono ogni uomo. Pa’ è il capo famiglia, la gerarchia riconosciuta sembra costituire il pilastro della sua vita. Ma’ la generosa matriarca che in ogni gesto o parola effonde il suo impegno per l’unica cosa che per lei conti: tenere unita la famiglia. Lo zio John tormentato dal rimorso e desiderio di oblio. Al è l’ardore giovanile, e per soddisfarlo non esita mai a subordinare perfino i legami familiari. L’ex predicatore Casy, amico di famiglia, è quello più dichiaramente alla ricerca del senso della vita e che avverte forte le contraddizioni della corporeità. Poi vi è Tom, il figlio maggiore che taluni indicano come vero protagonista del romanzo, per certi versi dotato di un equilibrio interiore che manca agli altri personaggi. E’ secondo me quello che semplicemente più di tutti si fa guidare dallo “stato di necessità”, suo e dei suoi cari, senza altra motivazione che derivi da sovrastrutture sociali (siano esse familiari, legali o religiose). Trovo in questo si origini il suo pragmatismo che poi di fatto lo induce a compiere sempre “ciò che è meglio”.
Lungo la narrazione dei vari episodi che costituiscono il viaggio della famiglia e dell’animo umano attraverso l’assurda, è il caso di dirlo, miseria del tempo (che poi è di tutti i tempi, quando di un popolo, quando di un altro) prende sempre più forma, e cresce, quella forza ribollente come magma sotto la superficie, che da il titolo all’opera (specialmente nella traduzione italiana). “Furore” è quel termine che io trovo perfettamente calzante per esprimere il moto divino che non può fare a meno di ribellarsi all’ingiustizia e ai soprusi che invece sono propri degli uomini. L’ultimo scatto del cuore che non può accettare impunemente la sovversione e l’obnubliamento dell’ordine morale, della bellezza, della speranza. E’ violenza, ma non cieca. E’ invece quel tratto divino che si esprime a più riprese nell’Antico Testamento, e che talvolta emerge nei grandi eventi storici come la rivolta di Spartaco, i vari moti e guerre d’indipendenza, o la Rivoluzione Francese o quella d’Ottobre, e che è invece è rifiutato dal Cristianesimo che riconosce come unica natura divina l’amore e la misericordia.
Il finale, amaro e positivo al tempo stesso, trovo si ponga così nello stesso solco di Cormac McCarthy, per cui tanto più in basso si spinge la miseria dell’uomo, tanto più forte brilla quell’irriducibile speranza che rimanda a una Provvidenza cui, nonostante la sua inspiegabile latitanza e insondabilità, in realtà nulla sfugge e tutto benedice.
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Sehr schönes und fast aktuelles Buch!! Zu empfehlen.
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